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Running: come scegliere le scarpe da gara

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(Filippo Pavesi) Con l’avvicinarsi di maratone, mezze maratone e gare su ogni altra distanza, i runner, che da mesi macinano chilometri in vista dei loro obiettivi, si chiedono anche con quali scarpe da gara affrontare al meglio l’evento tanto atteso.

È noto che le scarpe da gara possono aiutare la performance, quindi proviamo ad approfondire alcuni elementi utili a una scelta delle scarpe non scontata, con un occhio di riguardo all’evoluzione più recente.


Accadeva in Italia

I runner più anziani ricorderanno che in Italia per molti anni c’è stato un notevole consumo di “scarpe superleggere” che spesso venivano usate anche da chi avrebbe dovuto evitarle.
Nei primi anni ’80 io vendevo le migliori scarpe dell’epoca (New Balance, Tiger, Karhu, Adidas, Puma, Superga, Atala, Lotto, Valsport, Patrick e poi anche Nike, Brooks ed Etonic) in uno dei primi negozi specializzati. Ricordo che molti podisti preferivano spendere cifre elevate per comprarsi le scarpe da gara che avevano visto ai piedi dei campioni. Non dedicavano però le stesse attenzioni anche alle scarpe da allenamento. Così, spesso, certe scarpe da competizione, sottilissime, piattissime e strettissime, finivano per sostituirsi a modelli più protettivi anche nelle lunghe ore di allenamento. Presto o tardi, schiere di runner nostrani finivano, nelle grinfie di scaltri praticoni e solo successivamente in quelle di ben più seri ortopedici.
Per fortuna, da tempo, anche grazie all’informazione costantemente diffusa dalle pagine della rivista Correre, la situazione pare notevolmente migliorata.

Il vantaggio della leggerezza

Durante la corsa, il rendimento muscolare può arrivare al 40-50%, paragonato al 25% di altre attività, o al 20% del ciclismo. Uno degli elementi che permette di raggiungere questo straordinario risultato, e consente quindi di essere così efficienti quando si corre, è la possibilità del fisico umano di accumulare, e prontamente restituire, notevoli quantità di energia elastica. Questo noto fenomeno permette pertanto una consistente riduzione della spesa energetica. Indicativamente possiamo dire che, durante la corsa, il consumo calorico umano può essere approssimato a 1 kcal/kg/km (1 chilocaloria per ogni chilogrammo di peso corporeo per ogni chilometro di corsa).

L’energia elastica viene principalmente accumulata fra il polpaccio e il calcagno, cioè nel tendine di Achille e nel tricipite della sura, che a ogni passo si allungano e poi si contraggono repentinamente, come una molla, determinando così la flessione plantare che spinge in avanti. Il tendine di Achille è resistente ed elastico, ma è dotato di un allungamento limitato, mentre il tricipite è anch’esso molto elastico, ed è capace di maggior allungamento e adattamento alle diverse situazioni; è quindi lui che si fa carico di evitare al tendine di arrivare alla sua massima tensione. Ecco quindi che le scarpe, inserendosi fra i piedi e il suolo, possono (e devono) contribuire all’ottimizzazione della spinta: devono combinare un’ottima ammortizzazione degli impatti, con un sostanzioso supporto nella fase di transizione e una stabile base per la spinta.

La sinergia fra scarpa e piede

Le scarpe da gara, in particolare, devono essere dotate di caratteristiche elastiche ottimali in relazione a quelle dell’atleta, con il quale devono poter lavorare in modo armonioso. È esattamente quello che si prova quando, a volte quasi senza accorgersene, può capitare di trovarsi lanciati in una corsa che si percepisce come bella “rotonda” e “risparmiosa”. Ciò succede quando le scarpe hanno la giusta portanza e il giusto ritorno elastico, e funzionano così in sinergia con il fisico.

Dal punto di vista scientifico, è stato dimostrato che, nel caso di un atleta che corra all’80% del suo consumo di ossigeno, una variazione di 100 g nel peso (o, più esattamente, nella massa) di una scarpa può determinare una variazione prossima all’1% di detto consumo di ossigeno. Già solo questa differenza di massa, per l’atleta potrebbe tradursi in un possibile guadagno da 1 a 2 secondi al chilometro, quindi da 21 a 42 secondi sulla mezza maratona.

Oggi, molte delle scarpe più protettive hanno un peso medio-alto (330- 380 g), mentre molte altre, tipo quelle per allenamento veloce, pesano fra i 250 e i 320 g e quelle da gara oscillano fra i 160 e i 250 g.

Il ruolo di differenziale e portanza

Fino a quattro anni fa, nelle scarpe più leggere, insieme al peso, si riduceva anche il differenziale (differenza di altezza fra la parte posteriore e quella anteriore della scarpa, nda). Negli ultimi anni, invece, anche in molte delle scarpe superveloci, il differenziale è tornato a misure rilevanti, verso i 10 mm, che oggi è lo standard più diffuso, specie fra le scarpe da allenamento.

Conoscere il differenziale effettivo delle proprie scarpe (preferibilmente verificandolo di persona) può essere utile, in quanto un diverso “assetto” sulla calzatura comporta un diverso allungamento del tendine di Achille sotto carico, a seguito del quale l’atleta può godere di una maggiore o minore possibilità di accumulare energia elastica fra il tendine di Achille e il tricipite. Anche la portanza e la risposta elastica dell’intersuola, inoltre, possono essere abbastanza diverse e quindi a ogni appoggio può corrispondere un diverso rimbalzo: alcune scarpe da gara, infatti, possono farci “sprecare” una minore percentuale dell’energia di impatto grazie al comportamento maggiormente elastico della loro intersuola. Oltre a questo, fra scarpe diverse, anche la rigidità al mesopiede, e quindi il supporto offerto, possono essere diversi, così come è diversa la base di appoggio.

Fondamentale: la calzata

Nella scelta delle scarpe da gara, è indispensabile la perfetta compatibilità dimensionale: per affrontare una competizione nelle migliori condizioni, i piedi devono assolutamente risultare comodi all’interno della calzatura, in particolare la larghezza e la lunghezza anteriore non devono mai difettare; il mesopiede deve essere fasciato morbidamente e il calcagno deve risultare contenuto senza scivolamenti laterali o verticali. Suola e intersuola devono fornire la base di appoggio necessaria ai piedi. Fra i vari modelli, alcuni hanno un volume continuo, altri discontinuo o segmentato, da cui può derivare un comportamento progressivamente più agile.

Se sapete di avere una tendenza all’eccesso di pronazione, cercate un modello leggero, ma dotato di un’ampia superficie di contatto posteriore-centrale. Questo risulta tanto più importante quanto più bassa è la vostra andatura di gara; inoltre può risultare determinante nel finale della maratona, quando la riduzione della coordinazione, dovuta all’affaticamento muscolare (anche causato dall’esaurimento delle scorte di glicogeno) porta a correre a ritmi più lenti.

Se correte con le ortesi, sappiate che è possibile farne di leggerissime, in EVA di alta qualità, lavorato con frese a controllo numerico, con spessori modesti, inseribili anche in alcune delle scarpe più leggere, al posto della soletta standard.

La rivoluzione delle “superscarpe mutanti”

Oggi l’universo delle scarpe per correre si può considerare divisibile in due macroaree: da un lato le scarpe normali, che possiamo definire anche come “classiche”, che ammortizzano, proteggono e rimbalzano, permettendo ai piedi e alle gambe di espletare la loro funzionalità naturale. Dall’altro lato, le recenti “superscarpe” che più volte abbiamo analizzato e definito “mutanti”, espressamente concepite per potenziarne la funzionalità. In particolare, questo obiettivo è perseguito limitando la flessione del piede, per mezzo di una suola rigida o semirigida, che allunga la leva con cui si spinge avanti, sulla quale il piede rotola, grazie all’accentuata curvatura verso l’alto.

Da un paio di anni, la World Athletics ha formato una commissione dedicata alle scarpe da gara, che ha emanato delle norme intese a controllare lo sviluppo di quelle utilizzabili, che specificano un limite massimo di spessore sotto il piede (40 mm totali, suola più intersuola più sottopiede, per le corse e la marcia su strada, 20 o 25 mm, per la pista, a seconda della specialità). Non a caso, uno degli scopi delle maxi intersuole, cresciute come funghi negli ultimi anni, è quello di massimizzare la lunghezza della corsa della sospensione, utile ad accumulare energia elastica durante la compressione che si verifica a ogni impatto.

Il plate in fibra di carbonio

Oggi tutte le migliori scarpe da gara utilizzano intersuole superelastiche, di spessore maggiorato, che lavorano in sinergia con i plate in fibra di carbonio (materiale composito, che abbina elevata elasticità e leggerezza), inseriti a sandwich al loro interno. Tali inserti sono concavi sotto l’avampiede, con la punta rivolta in alto, poi salgono avvicinandosi al calcagno, con una sagoma che ricorda una forchetta vista di fianco, e svolgono molteplici funzioni:

1. allungano la leva con cui si spinge;

2. controllano la deformazione dell’intersuola, supportando il piede;

3. distribuiscono l’energia dell’impatto sull’intersuola, massimizzando l’accumulo e la restituzione dell’energia elastica;

4. accumulano e restituiscono energia elastica al loro stesso interno, comportandosi come molle ad arco (con interessanti variazioni, a seconda di marca, modello ecc.).

Grazie a questi accorgimenti, le scarpe più efficienti, in vendita oggi, ottimizzano l’accumulo e la restituzione dell’energia elastica, arrivando a restituirne intorno all’80%.

Questa sinergia caratterizza tutte le scarpe più veloci in commercio, prodotte dai migliori marchi globali, e conformi alle direttive della World Athletics.

Qualche esempio? Asics Metaspeed Sky e Metaspeed Edge, le Adidas Adiospro e adizeropro, le Brooks Hyperion Elite e Hyperion Elite 2, le Hoka One One carbonX2 e RocketX, le New Balance Fuelcell Rc Elite e Fuelcell Tc, le Nike Zoom Vaporfly Next% e Alphafly Next% e le Saucony Endorphin pro.